Satnam Singh e il suo braccio insanguinato. Storia di una tragedia annunciata e di un movimento a pezzi.

Satnam Singh, vittima del caporalato e delle agromafie italiane

Ennesima vittima dello sfruttamento nei campi fra Borgo Santa Maria e Borgo Montello, due frazioni di Latina: un bracciante è morto ieri a seguito di un gravissimo incidente sul lavoro avvenuto nei giorni scorsi, in cui un macchinario gli ha tranciato un braccio e procurato molte fratture alle gambe.

La procura ha aperto un’inchiesta per omissione di soccorso e omicidio colposo a carico del datore di lavoro, pare che la Regione Lazio si farà carico delle spese per il funerale e in caso di processo si costituirà parte civile così come il Comune di Latina. La sindaca Matilde Celentano ha dichiarato il suo “impegno affinché il Comune si faccia fautore assieme a tutte le altre istituzioni, enti e organismi coinvolti della lotta al caporalato, divenuto ormai una vergognosa piaga”. Infine, durante il question time alla Camera, la ministra del Lavoro Marina Calderone ha liquidato la vicenda e tutte le relative implicazioni (proprie del suo dicastero) dichiarando che “l’attività di repressione e prevenzione del lavoro non regolarizzato è al centro dell’agenda di governo“.

E così, dopo il sensazionalismo mediatico e qualche dichiarazione di rito alla stampa e in parlamento, anche stavolta si è chiuso il sipario su questa infinita serie di tragedie annunciate.

Si chiamava Satnam Singh, aveva solo 31 anni ed era arrivato con la moglie in Italia tre anni fa. Avevano accettato un lavoro come braccianti agricoli senza regolare contratto, come molti altri membri della comunità indiana che lavorano nelle aziende agricole di quella zona.
E proprio le politiche discriminatorie e razziste di questo paese in materia di immigrazione hanno decretato il destino di questo povero ragazzo.
Legando a doppio filo il permesso di soggiorno alla propedeutica presenza di un contratto di lavoro, infatti, il decreto Salvini ha reso sempre più ricattabili gli immigrati e sempre più spregiudicati gli sfruttatori, i caporali, le agromafie. Quindi chi vuole lavorare ma è immigrato irregolarmente oppure ha il permesso di soggiorno scaduto deve assoggettarsi a quella che sempre più assume i connotati di semischiavitù, dove gli esseri umani vengono spogliati di ogni dignità, di ogni diritto e tutela, fino al più truce spregio della vita umana.

Lo sfruttatore di Satnam Singh, l’imprenditore italiano Antonello Lovato, invece di chiamare i soccorsi lo ha caricato sul furgone insieme all’arto amputato (riposto in una cassetta di plastica) e alla moglie della vittima e li ha poi abbandonati davanti al loro dormitorio. Sul luogo è poi arrivato il pronto intervento medico, allertato dai vicini della vittima.
Trasportato in eliambulanza all’ospedale San Camillo di Roma dopo averlo stabilizzato sul posto e sottoposto a numerose operazioni, purtroppo, non ce l’ha fatta ed è deceduto ieri dopo due giorni di dolorosa agonia.
Se soccorso in tempo si sarebbe potuto salvare? Una domanda che fa tremare di rabbia al solo pensiero.

Ogni anno la disonestà degli imprenditori che risparmiano sulla sicurezza, sulla manutenzione e sulla regolarizzazione dei contratti miete moltissime vittime nel nostro paese.
In particolare tra i braccianti agricoli e quelli edili, i meno tutelati che, lavorando a giornata, sono sempre più spesso vittime di forme di caporalato e sfruttamento.
L’annoso colpevole silenzio di tutte le parti politiche, sociali e sindacali su questa vera e propria piaga sociale, ancora una volta stride orribilmente con i principi costituzionali e giuridici di giustizia e tutela sociale sui quali dovrebbero, invece, basare il proprio operato.
Si aggiunga la totale inefficienza dell’INL (agenzia governativa istituita nel 2015) deficitaria sia sul piano gestionale che organico e che in questi anni non è stata ancora in grado di vigilare e prevenire gli incidenti sul lavoro. E considerando il numero infinitesimale di ispettori rispetto a quello delle imprese attive, l’annunciato concorso per l’assunzione di 750 ispettori di vigilanza tecnica sulla salute e sicurezza non è che una goccia in un oceano di illeciti e sfruttamento.
Bruno Giordano, magistrato ex direttore dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e padre della legge contro il caporalato in questo frangente si mostra indignato, certo, ma dov’è stato fino ad oggi mentre proprio la legge di cui è firmatario non veniva applicata e fatta rispettare, pur con tutte le sue evidenti lacune?

In Italia, inoltre, rendersi competitivi nel mercato globalizzato non implica alcuna spinta al mondo della ricerca scientifica e tecnologica, alcun sostegno all’imprenditoria giovanile e alle start up, né tantomeno accrescimento della produttività mediante miglioramento della sicurezza, delle condizioni di lavoro, di vita e retributive de* lavorator*.
Tutto ruota invece attorno al profitto di una ristretta classe capitalista composta dal 5% della popolazione che accumula la maggior parte della ricchezza nazionale sfruttandone il restante 95%.

Senza contare che a dare il colpo di grazia al nostro sistema sociale ed economico, spesso sono proprio le persone socialmente ed economicamente più fragili e sfruttate, le quali appoggiano e votano i partiti servi e strumento del capitalismo che li sfrutta e opprime.
A pagare il prezzo di questa situazione sono i più vulnerabili, gli invisibili, i marginalizzati come gli immigrati, i cui più elementari diritti vengono costantemente disattesi da una società sempre più economicamente precaria e disgregata, disinformata, il cui orizzonte viene ridotto ai bisogni basilari individuali per fiaccarne la capacità critica e la pressione politica.

Ben venga la protesta in aula e fuori dal senato dei giorni scorsi a tutela della democrazia sempre più attentata dagli attacchi del neofascismo.
Ma perché quegli stessi politici e sindacalisti oggi non si sono precipitati in piazza a pretendere la tutela dei diritti umani e sociali di tutte le persone che qui vivono e producono anche per ciascuno di noi?
Dov’è finita la spinta politica dal basso grazie alla quale, in un passato non troppo lontano, è stato possibile affermare i diritti e le conquiste che hanno determinato la nostra crescita culturale e sociale?
Non sarebbe ora, finalmente, di costruire ponti e collaborazioni là dove proprio le divisioni ideologiche all’interno di quel movimento ne hanno consumato le energie favorendo il rigurgito neofascista che oggi dilaga e cancella proprio quelle faticose conquiste?

Quanti altri Satnam Singh dovranno morire smembrati prima che questo paese ritrovi sé stesso, ridesti la propria coscienza e torni a lottare per una Italia più giusta, libera, inclusiva e solidale?
Quell’Italia che si definisce “fondata sul lavoro” e non sulle morti tragiche dei lavoratori.

#bastamortisullavoro
#stopalcaporalato
#lavorodignitaliberta

© Militanza Grafica

L’associazione Comunità indiana del Lazio ha indetto una grande manifestazione martedì 25 giugno 2024 alla cui conclusione chiederà di essere ricevuta dal Prefetto di Latina per consegnare una lettera aperta di denuncia circa le condizioni di lavoro nella provincia e gli atti di sfruttamento, caporalato e violenza subiti dalla loro Comunità.
L’invito a partecipare è rivolto a tutte le comunità indiane del Lazio, ai sindacati e a tutte le associazioni per la tutela dei diritti dei lavoratori e perché quel giorno venga proclamata una giornata di sciopero generale per i lavoratori agricoli della Provincia di Latina.

Solidale con la famiglia di Satnam Singh e con tutte le vittime del caporalato, dello sfruttamento, dell’avidità di imprenditori disonesti, anche Melitea si fa portavoce di questa protesta e invita tutt* a sostenere questa lotta di civiltà per i diritti e la dignità di tutta la classe lavoratrice, contro i crimini del capitalismo e dei poteri asserviti a sua difesa.

Comunicato Associazione Comunità indiana del Lazio
https://latinatu.it/la-comunita-indiana-indice-una-manifestazione-per-satnam-singh/

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