La Convenzione per i diritti nel Mediterraneo  contro il neo-colonialismo.

La Convenzione dei diritti nel Mediterraneo ha pubblicato, nel giorno del primo anniversario della firma un documento sul tema importante, tornato prepotentemente sulla scena italiana, per la guerra alle Ong, la morte di almeno cento persone a Cutro, tra le quali 36 minori e il naufragio con altri 30 morti per omesso soccorso.

La Convenzione per i diritti nel Mediterraneo  contro il neo-colonialismo. 

La Convenzione per i diritti del Mediterraneo ritiene necessario articolare in modo più olistico il paradigma finora al centro delle richieste dell’associazionismo. 

Oltre a rivendicare una libertà di movimento, naturale per l’essere umano, il diritto ad una ospitalità dignitosa che va garantita a tutti, vanno combattute tutte le forme di neocolonialismo e sfruttamento delle ricchezze dei popoli emigranti. 

L’Africa resta uno dei migliori punti di osservazione dei grandi processi che investono il mondo. È il luogo dove si manifestano in forma estrema le conseguenze dello sfruttamento delle persone e dell’ambiente, ma anche il terreno in cui si sperimentano forme innovative per trarre profitto dalla sovrapposizione delle crisi.

Queste politiche neocoloniali costringono masse crescenti a emigrare. 

Dobbiamo cambiare paradigma, chiedendo al governo italiano, all’Unione Europea, ai Paesi che hanno rapporti con le nazioni delle diaspore, qualcosa di concreto per tutelare il diritto degli abitanti del Sud Globale a poter scegliere di restare nella propria terra in dignità e sicurezza. Lo chiedono già i movimenti panafricanisti e lo hanno sottolineato molti artisti definendo “Babilonia” l’ingerenza straniera e la sua esportazione della guerra e del militarismo (vedi Fela Kuti ad Alpha Blondy, Tiken Jah Fakoly…).

Accettare e ripetere la locuzione “fuggono dalla guerra e dalla fame”, senza mai nominare chi la guerra, la fame, le emissioni climalteranti che desertificano o alluvionano, provoca, la organizza, la pratica, è il nuovo orizzonte cui rivolgere la nostra lotta. 

Oltre all’accoglienza necessaria aperta e dignitosa, con lo stesso tono di voce determinato e forte dobbiamo chiedere con forza nei nostri striscioni, nei nostri cartelli “Basta sfruttamento coloniale”. Dobbiamo con maggiore impegno stanare le ingerenze neocoloniali e approfondire i meccanismi interni di oppressione che ingenerano le migrazioni. 

Concentrarsi esclusivamente sul tema del diritto ad migrare, ad essere salvati in mare, a definire politicamente canali legali e sicuri per il viaggio migratorio, sposta la questione dell’emigrazione da una questione politica e di diritti ad una mera questione umanitaria. La compassione riguarda la sfera individuale dell’agire, la difesa dei diritti quella collettiva. Invero la sicurezza dell’approdo deve andare di pari passo con una buona accoglienza, che serve a rafforzare le capacità dei migranti, sia che restino sia che tornino, o che pratichino una migrazione circolare, diventando un volano di progresso per le comunità di origine (anche attraverso le esperienze dei partenariati interregionali costruiti dal basso). Ma tale progresso principalmente può essere determinato dalla sovranità del continente africano e dalla autodeterminazione politica, impossibile peraltro da realizzarsi in società eccessivamente militarizzate, dove la società civile sia schiacciata. Per questo l’allontanamento degli eserciti occidentali è fortemente richiesto da alcuni movimenti (cfr.Unité Dignité Courage, diretto dal congolese Siwa Lemba)

L’Europa, l’Italia in particolare hanno dimenticato quanto solennemente giurato di rispettare, sottoscrivendo la dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo. 

Articolo 13

1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.

2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di rientrare. 

Ogni essere umano  deve poter stabilire la sua residenza dove desidera, un diritto, ma anche un dovere, dell’Europa, essendo essa stessa con ogni evidenza, per debito ecologico, per traffico di armi, per passato coloniale, causa del male che tenta di confinare oltre frontiera.

Perché questa è la verità conosciuta da tutti, ma troppo nascosta.

Le guerre da cui i migranti scappano sono alimentate, quando non provocate, volute, organizzate come parte della lotta per l’accaparramento di terre e materie prime per l’industria del nord.  Ci sono cause locali, che si intrecciano però a lasciti del colonialismo e soprattutto all’attività che le ex potenze occupanti continuano imperterrite a produrre nel voler determinare governi e politiche. E non pochi sono stati i leader africani che per aver denunciato le ingerenze delle vecchie potenze coloniali hanno avuto problemi, Thomas Sankara per citarne uno. Le condizioni climatiche avverse che costringono alla migrazione sono diretta conseguenza della produzione industriale occidentale. Esiste quindi un debito europeo verso l’Africa che dovrebbe imporre l’accoglienza di una quota rilevante dei 216 milioni di potenziali sfollati ambientali previsti dalla Banca Mondiale. Altro che umanitaria. Qui l’accoglienza è un dovere.

La fame che costringe a cercare altrove fonti di vita non viene dal nulla e nemmeno “dalla natura”, ma tra l’altro, dalla trasformazione dell’agricoltura di sussistenza in monoculture per l’esportazione derivante dall’integrazione nel mercato mondiale, con i cui proventi le frazioni più ricche della popolazione comprano beni prodotti al nord, importati spesso a scapito di produzioni locali cui è stata negata la protezione a seguito di trattati commerciali liberisti.

I regimi corrotti, inghiottitoi di risorse, che tengono in ostaggio popolazioni sottraendo futuro e risorse sono spesso regimi “amici”, sostenuti, foraggiati, alle volte insediati da paesi occidentali. E le politiche economiche che non hanno permesso lo sviluppo sono spesso consigliate, quando non imposte da un fondo monetario dominato dagli Stati Uniti e dalle nazioni europee 

Chiediamo a gran voce la revisione, o la cancellazione della legislazione che impedisce ai migranti di entrare in Europa ma noi chiediamo, manifestiamo, petizioniamo allo stesso modo e con la stessa forza per una revisione delle politiche commerciali, dai BIT, agli accordi di libero scambio, attraverso i quali l’Unione Europa e l’Italia con essa, continua a mantenere ragioni di scambio ineguali con i paesi africani. 

Accettiamo che siano sul banco degli incriminati solo coloro che, milizie o scafisti, sono solo l’ultimo anello di una catena di cause che portano alla morte di migliaia di persone, che ha all’origine multinazionali del crimine che saccheggiano le risorse sfruttando i lavoratori con paghe da fame.

 Il confronto pubblico sembra essere solo tra chi chiede accoglienza e chi non la vuole dare. Invece la responsabilità delle politiche estere, economiche, commerciali, militari, in sostanza neocoloniali, italiane ed europee come causa dell’emigrazione non sembra essere all’ordine del giorno e quindi nemmeno quella delle azioni per rovesciarle.

C’è bisogno di costruire una piattaforma per una nuova politica estera che abbia seriamene al centro il diritto di restare oltre che quello di emigrare. Avrebbe forse anche più forza la lotta per l’accoglienza, perché inserita in un processo complesso che almeno chiede, se non può ancora prevedere, una riduzione e poi una fine di questa epocale deportazione delle genti d’Africa (e non solo) che non il mare, ma la politica, trasforma in corpi portati dai flutti.

19 Marzo 2023

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