Ho ucciso la mia fidanzata. Di Silvina Bentivegna

“HO UCCISO LA MIA RAGAZZA”
Dal femminicida Filippo Turetta




Giulia Cecchettin, un’altra vittima dello Stato Italiano.
Sabato 11 novembre Giulia Cecchettin è andata a cena con il femminicida Filippo Turetta. Dopo cena, l’accompagna a casa, ma al parcheggio, a 150 metri dalla sua abitazione, arriva l’aggressione, litigano, e lui la colpisce, Giulia fugge a piedi, il femminicida la raggiunge e la scaraventa a terra trascinandola e caricandola in auto. Numerose tracce di sangue, un coltello da cucina di 21 centimetri, capelli e un nastro argentato sono stati trovati sul posto.
ll corpo di Giulia Cecchettin viene ritrovato una settimana dopo nei pressi del lago di Barcis.
Giulia è stata colpita con 26 coltellate in varie parti del corpo, dal volto alle gambe.
Giulia è deceduta per shock emorragico.
Giulia è stata vittima del suo ex fidandato e dell’inazione dello Stato.
Giulia è stata intrappolata nel circolo violento, nella ragnatela violenta e purtroppo non ha potuto uscire dal potere dell’uomo.
Giulia è stata vittima come tante donne del maschilismo, drl patriarcato che colpisce in tutto il mondo noi donne .
Giulia è stata vittima della violenza più estrema che possa esistire: il femminicidio.
Davanti a un femminicidio la responsabilità è sempre dello Stato.



Perché molte donne rimangono coinvolte in una circolarità violenta, in una ragnatela?
Il circolo violento descrive le relazioni in modo che le azioni ritornano sempre al punto di partenza come causa, iniziando il nuovo ciclo.
Le interazioni violente in una coppia sono vincolate all’incremento della tensione nelle relazioni di potere. Questo significa che, durante gli scambi ricorrenti sempre più tesi, emerge la violenza fisica nei momenti in cui la relazione di dominazione/ subordinazione – che si suppone che lui esercita su di lei – ha bisogno di essere riconfermata. Possiamo considerare questa situazione come un tentativo di recuperare il potere perso (o mai raggiunto) mediante l’uso della forza fisica ed emotiva
Quando la crisi arriva all’apice non si ha più controllo di nulla, ed è lì che potremmo trovarci di fronte a un risultato fatale come il femminicidio.
La situazione ricorrente in cui resta sottomessa la donna presenta tre caratteristiche fondamentali: la cronicità, l’intensità crescente negli episodi di violenza e l’esaurimento, che è costituito da tre fasi.
L’accumulo di tensione: In questa fase si susseguono piccoli episodi che portano a discussioni permanenti tra i membri di una coppia, con un costante aumento di ansia e di ostilità. Questa fase può durare anni. Se si chiede aiuto in questa prima istanza, si può prevenire l’irruzione della fase del colpo.
Il colpo: l’impossibilità di continuare a sostenere il livello di accumulo di tensione prodotto nella prima fase, volendo il colpo provocare, dopo la scarica, una diminuzione della tensione e un cambio illusorio e momentaneo nelle relazioni di potere. Si produce un ritorno ai ruoli determinati dagli stereotipi di genere.
L’idealizzazione: si produce il pentimento da parte di lui. La donna lo perdona e torna a credere in lui. In questa fase, egli si comporta come l’uomo ideale, molto pentito.
È importante chiarire che tanto le statistiche come l’analisi dei casi mostrano che queste diverse manifestazioni di violenza sono sempre in relazione, non esiste una violenza fisica senza una previa e parallela violenza psicologica.
È importante sottolineare che questa circolarità in cui si sviluppa la violenza contro la donna implica una ripetizione dei sintomi.
La violenza contro la donna non è un episodio isolato, sono situazioni cronicizzate, con caratteristiche che implicano alti livelli di rischio e un profondo deterioramento fisico e sessuale.
La violenza è una condotta appresa, una forma stimolata socialmente, come soluzione ai conflitti. Nella dinamica violenta le donne, come forma di difesa, sviluppano condotte di isolamento, negazione e dissociazione. Questo si manifesta con la perdita graduale dei vincoli affettivi (amici, parenti, vicini), non RICONOSCENDO di avere un problema e minimizzando le scene di violenza. Questa minimizzazione – o, come si suol dire, che la donna è “anestetizzata” di fronte alla realtà che la circonda – può scatenare posteriormente – a seguito di una forte aggressione fisica – un femminicidio.



La violenza più estrema: il femminicidio.
Il femminicidio colpisce tutte le donne, a livello globale, di tutte le condizioni sociali ed in tutte le regioni. In italia fino ad oggi ci sono 105 donne assassinate dal potere dell’uomo, dal maschilismo.
La statistica ci fa riflettere sull’impunità di questi crimini e sull’inazione e l‘assenza da parte dello Stato in questioni così gravi, che giorno dopo giorno si portano via altre vite. Le morti delle donne si possono evitare. Non si può fare scomparire il femminicidio, però si può difendere ogni morte affinché non succeda più. Ha scritto una giornalista femminista argentina Luciana Peker: le morti delle donne sono evitabili e questo le rende ancora più imperdonabili, per gli assassini e per il sistema di giustizia e di protezione dello Stato, che lascia che le donne siano assassinate. E per il giornalismo che ne parla come se fossero l’annuncio di una tormenta.
Le donne stanno morendo in conseguenza dell’inazione statale. Lo Stato si è obbligato a ratificare la Convenzione di Istanbul: eradicare le violenze verso le donne in tutte le sue forme, indagare e sanzionare la violenza. Oggi siamo lontani da tutto questo, viviamo in un mondo dove è cosa normale ascoltare notizie sulla scomparsa di adolescenti e di ragazze che non sono mai tornate a casa, che erano uscite per andare all’università, o per andare a ballare con le amiche, e che non sono più tornate.
Le cattive indagini sui casi di donne assassinate dimostrano la complicità dello Stato, la violenza istituzionale.
La Convenzione di Istanbul obbliga lo Stato ad incorporare e ad applicare politiche al fine di eliminare nella nostra società il patriarcato, il maschilismo, la violenza di genere.
Deve esistere una forte volontà politica affinché si possa eradicare la violenza maschilista dalla nostra società. Nessun uomo nasce violento. Dobbiamo lavorare fin dall’infanzia, lavorando nelle scuole, includendo nei programmi diverse materie di genere e un’educazione sessuo affettiva. Così riusciremo a raggiungere un’uguaglianza fra donne e uomini fin da piccoli, liberi dagli stereotipi, dove il patriarcato passi ad essere un’utopia.

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